Esplora il sito
Home - Chi Siamo - Diagnosi- Trauma - Modello&Metodo - Iniziative&Convegni- Logos

per contatti, informazioni, appuntamenti scrivi a segreteria@centrodicognitivismoclinico.it o chiama il 371.1896895



Il Centro di Cognitivismo Clinico ha come obiettivo principale la cura del disagio e della sofferenza psicologica delle persone che vi si rivolgono. Per questo è necessario che il soggetto attivo sia il paziente anche in fase di diagnosi, con l'ausilio del terapeuta. Quindi è doveroso


Fornire una diagnosi corretta della natura della sintomatologia descritta, potendo cosi darne, e spigarne, la valenza di disturbo clinicamente rilevate o invece di malessere esistenziale.
La diagnosi è proposta non solo come definizione nosografica e psichiatrica del disturbo, ma inquadrata nella fase di vita del soggetto, all’interno del contesto affettivo familiare sociale e lavorativo, in una cornice di senso che ne rende comprensibile la connessione ed il rapporto sia con le caratteristiche di personalità che con gli aspetti temperamentali.

La prospettiva teorica di riferimento è quella del cognitivismo clinico, intesa come attenzione privilegiata alla dimensione consapevole dell’esperienza soggettiva, cognitiva emotiva e comportamentale.




La Diagnosi.

L’ambito della comprensione e della cura della sofferenza psichica vede confrontarsi ancora oggi, da una parte, coloro che sostengono la necessità di cure che centrandosi sulla soggettività dell’individuo che soffre non possono essere generalizzate in termini di diagnosi, di sintomi psicopatologici, né in termini di percorsi terapeutici standardizzati.

Questa posizione che ritiene la prassi clinica, diagnostica, inutile e pericolosa ha alle spalle una talora inespressa filosofia, che confina con una sorta di mistica della persona, sulla sua inconoscibilità e che ha quindi orrore di quanto possa sembrare un’oggettivazione dell’individuo. Filosofia spesso fusa e confusa con un’ipotesi lineare dell’origine sociologica delle definizioni diagnostiche.

Vi è al fondo un rifiuto esasperato del termine “oggettivazione”, senza tener conto che una cosa è ridurre ad oggetto una persona, confondere la parte per il tutto identificando la persona nel suo disturbo, altra cosa è porsi in una posizione di studio “oggettivo” della sofferenza psichica.

E dall’altra coloro che invece, sostenuti dalle necessità della ricerca, vedono nella rigida applicazione di protocolli terapeutici applicati a categorie diagnostiche definite attraverso somministrazione di questionari e test, la miglior risposta clinica terapeutica.

Queste due posizioni estreme, la soggettiva esperienza della sofferenza psichica come ambito personale, unico, non generalizzabile in categorie diagnostiche e la rigida focalizzazione su categorie sintomatico-diagnostiche che comportano l’applicazione rigorosa di protocolli terapeutici specifici, sono l’espressione di quanto sia aspro e ideologizzato ancora oggi il dibattito e il confronto sui temi riguardanti la sofferenza psichica.

Per certi aspetti è come se non fossero passati quasi 2 secoli dalla distinzione di Dilthey tra scienze dell’uomo e scienze della natura viste come aree di conoscenza inconciliabili che prevedono strumenti di studio e metodologie differenti.

La prospettiva teorica del Centro vuole essere quella dell’integrazione tra questi due ambiti solo apparentemente inconciliabili. Si vuole comprendere e curare la dimensione della sofferenza psichica umana con gli strumenti e i metodi delle scienze della natura.

Il campo che scegliamo su cui fondare l’attività del Centro è quello scientifico della verifica della conoscenza, della falsicabilità e della replicabilità, della laicità non ideologica.

Lo sforzo che intendiamo fare è quello di mettere in atto prassi cliniche evidence based in termini di efficacia, sostenute da evidenze empiriche provenienti dalla ricerca clinica controllata, avendo cura di contestualizzarle in percorsi psicologici, psicoterapici e psichiatrici che vedano nella relazione tra terapeuta e paziente il contesto influente per la realizzazione del processo di cura.

E’ in questi termini che per noi acquista valore la diagnosi psicopatologica, la possibilità di distinguere ciò che ha valenza patologica, di sindrome o disturbo, da ciò che non lo ha rappresentando una reazione psicologica, magari anche di estrema sofferenza ad eventi della vita lungo un continuum fisiologico. Diagnosi che va condivisa col paziente e spiegata, al di là dei tecnicismi, con termini comprensibili che dando senso a ciò che il paziente sta vivendo permette di offrire una terapia efficace e compatibile con il funzionamento personologico del paziente.

Per noi la diagnosi non ha il significato di stigma, di etichetta che spersonalizza l’individuo, di condanna sociale o di disperato destino esistenziale. E’ invece uno strumento utile e necessario. E’ esperienza comune quando siamo noi ad essere “i pazienti”, affetti da una qualche forma di sofferenza fisica o psichica, di fronte ad un medico in pronto soccorso, in ospedale in ambulatorio avere in mente le stesse domande: cosa ho? E’ grave? Guarisco? In quanto tempo? Cosa devo fare per stare bene?

Sono queste le domande a cui cerchiamo di dare risposta quando le persone che si rivolgono a noi, con competenza e umanità.

La diagnosi nei termini sopra descritti riguarda solo in parte lo studio della dimensione sintomatica e del significato psicopatologico di questi fenomeni in modo da giungere ad una definizione nosografica.

Una diagnosi, finalizzata al comprendere e spiegare come una condizione patologica si inserisca nel percorso di vita di un soggetto, chiede al terapeuta di tenere in grande considerazione la storia biografica e la quotidianità del paziente, cogliendo negli avvenimenti e negli eventi di vita un nesso di comprensibilità con le caratteristiche della struttura psichica del soggetto e con la sua vulnerabilità allo sviluppo di sintomi psicopatologici.

C.La Mela