Un ricordo di Gianni Liotti, il mio maestro

Di Linda Tarantino


Abbiamo aspettato un po' a scrivere qualcosa sulla perdita di Gianni Liotti, ma per noi la perdita dell'uomo è stata più dolorosa della perdita del maestro, per cui ci perdonerete se abbiamo lasciato, al nostro dolore, privato, la dimensione di intimità di cui aveva bisogno.

È difficile scrivere su Gianni Liotti, perché si potrebbero scrivere fiumi di parole per celebrare la sua cultura, la sua grande generosità nella condivisione del suo sapere e l’evoluzione scientifica che ha dato alla psicoterapia italiana ancor prima che internazionale.

In questi giorni di lutto molto è stato detto e scritto per ricordarne la grandezza di uomo e di maestro, che in lui coincidevano.

Ed è del maestro che vorrei condividere con voi un ricordo.

Come molti sanno, Gianni Liotti è stato uno dei fondatori della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC), mosso dal desiderio di condividere una forma di sapere e di saper fare; la SITCC oggi rappresenta, anche grazie al pensiero scientifico di Gianni Liotti, a livello internazionale un faro culturale ed ha permesso ad autorevoli autori italiani di far conoscere ed apprezzare il cognitivismo italiano.

Nel mio essere didatta di una società prestigiosa e culturalmente fertile come la SITCC, sento di potermi definire una studiosa scrupolosa e vorace, ma di certo non portatrice di un pensiero originale ed evolutivo. Il mio compito come didatta è stato quello di promuovere con onestà intellettuale il pensiero scientifico che appartiene alla cultura del cognitivismo e soprattutto del cognitivismo italiano, per un senso di appartenenza non geografica ma culturale e per la ferma convinzione di una elevata qualità del cognitivismo italiano.

Qualche giorno fa un mio ex studente mi ha scritto che Gianni Liotti era in ogni mia lezione. Gianni Liotti è stato il mio didatta e con attenzione verso la formazione personale, con generosità verso la condivisione culturale mi ha guidata nel mio essere una curante ed una studiosa curiosa. Ho cercato di condividere gli insegnamenti di Gianni Liotti con ogni singolo studente, a dispetto di chi, spesso per invidia e ignoranza, note nemiche di ogni evoluzione culturale, Il pensiero di Gianni Liotti in quelle lezioni non lo avrebbe voluto.

Alcuni potrebbero pensare a Gianni Liotti solo come ad un teorico delle applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, per i suoi rapporti con Bowlby e per essere stato socio fondatore dell’Associazione per la Ricerca sulla Psicopatologia dell’Attaccamento e dello Sviluppo (ARPAS).

E’ stato invece molto di più, poiché ha saputo integrare teoria dell’attaccamento, principi di epistemologia evolutiva e teoria dei sistemi motivazionali interpersonali con il cognitivismo clinico, fondando il cognitivismo evoluzionista.

Gianni Liotti ha avuto il merito di riportare la psicoterapia nel tempio delle scienze riconosciute e rispettate, nella cultura delle neuroscienze, integrando (come potrebbe essere possibile oggi pensare di non farlo?) discipline che passando dalla etologia, all'antropologia, alla neurofisiologia.

E così io, che ero fuggita da una psichiatria arida e spersonalizzata, ho potuto riscoprire il valore e l’utilità di tutti i miei studi, dalla filosofia alla neurobiologia, e poterlo mettere al servizio del mio operare.

Gianni Liotti ci ha permesso di essere cognitivisti colti e non meri esecutori di tecniche, ci ha insegnato ad integrare saperi provenienti da aree diverse, che è il vero valore della cultura, non per farne un puro vanto ( che spesso è ostentazione di potere) ma per metterlo al servizio di ogni singolo nostro paziente.

Gianni Liotti ci ha insegnato a comprendere realmente il funzionamento mentale, sano ancor prima che patologico, e per far questo ci ha riavvicinati allo studio della coscienza. Molti suoi studi si sono concentrati sulle correlazioni tra disorganizzazione psicopatologica e attaccamento disorganizzato e lo hanno portato nel 2005 a vincere il prestigioso premio Pierre Janet’s Writing Awards.

Non so dire quante volte ho riletto “La dimensione interpersonale della coscienza” (Carocci, 1994/2005) perfino nelle sue diverse edizioni, ma so per certo che ogni volta è stata per me occasione di nuova e sempre più approfondita conoscenza. Ci sono libri che cambiano il nostro destino; per me sicuramente “La dimensione interpersonale della coscienza” ha rappresentato una svolta professionale e personale fondamentale. Un libro difficile, certo, che ho chiesto sempre agli studenti di leggere, che ho regalo ad amici curiosi di capire esattamente di cosa mi occupassi e che spesso ho prestato anche ad alcuni pazienti; una volta una mia paziente me lo ha riportato, dopo averlo letto tutto, e mi ha detto “ queste cose dovrebbero insegnarle alla scuola dell’obbligo”.

Certo, Gianni Liotti studiava e chiedeva di studiare, chiedeva davvero di comprendere ciò che si stava studiando e di farlo con il rispetto e la responsabilità del compito che ci apprestiamo a compiere come terapeuti: avvicinarci al dolore degli altri, comprendere e curare in modo terapeutico. A molti questo non piaceva; non piaceva il suo rigore scientifico, non piaceva la sua incorruttibile onestà intellettuale, non piaceva il rispetto che chiedeva verso la scienza ed il suo utilizzo.

I suoi studi sulla coscienza richiedono di integrare ed organizzare conoscenze non così scontate nemmeno per un terapeuta già formato. D’altronde integrare ed organizzare dovrebbe essere, per noi terapeuti, pane quotidiano. Gianni Liotti ci ha, come cognitivisti, posti all’interno della riflessione contemporanea sulla dissociazione, una riflessione da sempre fondamentale nella psicopatologia e per me, che proprio per il desiderio di comprendere mi sono molto appassionata alla psicopatologia fenomenologia fin dalla specializzazione, la possibilità di una vera comprensione ad un livello completo ed esaustivo, pur nella sua complessità.

Gianni Liotti è stato un grande studioso, ma soprattutto uno straordinario clinico perchè i suoi studi avevano sempre al centro il paziente e la sua cura; “Sviluppi traumatici” (Cortina, 2011) scritto con Benedetto Farina, è giustamente considerato un testo completo e ricco, non solo in ambito cognitivista, per la comprensione della disorganizzazione, della dissociazione, del trauma e per la cura dei disturbi dello spettro traumatico-dissociativo, che come cognitivisti dovrebbe renderci tutti orgogliosi, avendoci permesso di affrontare il tema del trauma, così storicamente delicato nella storia della psicologia, con una competenza scientifica, sia nella diagnosi che nella cura, rara e preziosa per i nostri pazienti.

Gianni Liotti era severo, non tollerava i ritardi (lui d’altronde era di una puntualità disarmante), il brusio, l’ostentazione arrogante dell’ignoranza; si dice affettuosamente di lui che avesse anche un brutto carattere, ma era un uomo di grande umanità e bontà.

Indimenticabili sono le sue supervisioni, a cui gli studenti a volte si appressavano con timore e da cui venivano ogni volta illuminati e questo non solo per la sincera compassione e rispetto con cui si avvicinava al paziente e per il suo modus operandi sempre orientato a comprendere e non a giudicare l’operato del terapeuta ma soprattutto perché Gianni Liotti ci ha insegnato a comprendere la mente del paziente e, cosa molto complessa da imparare e da insegnare, ad organizzare le conoscenze sul paziente.

Il senso dell’organizzazione gerarchica della mente credo sia un suo insegnamento indispensabile e “Le opere della coscienza” (Cortina, 2001) un testo fondamentale per imparare gli strumenti che ci permettono di partire dalla conoscenza di funzioni e contenuti della mente del paziente, per passare alla comprensione del funzionamento complessivo della persona nel suo divenire e saper organizzare un intervento terapeutico mirato non a curare singoli aspetti in singoli momenti, ma a curare la persona e la sua sofferenza clinica attraverso una terapia precisa, organizzata gerarchicamente sia nelle strategie che nei tempi di utilizzo di varie tecniche.

E questo è infine l’ultimo aspetto che vorrei ricordare del nostro maestro, l’attenzione alla persona

ed agli aspetti relazionali. Lo ricordo qui perché ritengo sia il suo insegnamento più prezioso nel nostro bagaglio umano ancora prima che professionale, che sia ciò lo ha fatto apprezzare da ogni scienziato della mente, aldilà dell’orientamento psicoterapico.

Gianni Liotti ci ha insegnato il valore evolutivo della cooperazione, un valore che praticava nel chiedere a tutti di dargli del tu, nel rispettare chiunque si rivolgesse a lui con desiderio di conoscenza, nel suo dedicarsi incessantemente al confronto scientifico costruttivo e che ha permesso di avere, anche nella terapia cognitiva, una teoria della relazione terapeuta forte, scientificamente fondata, terapeuticamente ineludibile. “Teoria è clinica dell’alleanza terapeutica”, scritto con Fabio Monticelli (Cortina, 2014) è in tale senso un testo che consiglierei a qualunque terapeuta.

Gianni Liotti ci ha lasciato i suoi libri. Io spero che chi studierà il suo pensiero ora che non ci sarà più la possibilità di ascoltarlo alle sue indimenticabili lezioni, a cui a volte si sono imboscati anche amici e pazienti, che spaziavano da Camus al funzionamento cerebrale mostrato con le tecniche più varie e sofisticate, abbia la curiosità che ha spinto lui a studiare per tutta la sua vita e me a seguirlo in tutti questi anni di professione.

Sta uscendo in questi giorni per la prima volta tradotto in italiano “Cognitive Processes and Emotional Disorders” (Guilford Press, 1983) con il titolo di “Processi cognitivi e Disregolazione Emotiva” (Apertamenteweb, 2018), scritto con Vittorio Giudano, a cui venne assegnato il Premio Guilford per “il miglior testo di psicoterapia del 1983” e con cui la comunità scientifica internazionale cominciò a notare, all’interno del cognitivismo, “la scuola Italiana”.

Vivo questo appuntamento con l’eccitazione e la malinconia di chi aspetta un amante che sa che vedrà per l’ultima volta. Ma poi mi rincuoro sperando di rivedere Gianni Liotti in generazioni future di bravi terapeuti, che anche grazie a lui saranno terapeuti migliori.